Macinato


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Una tassa simile a quella sul macinato era già stata introdotta in varie regioni italiane (Sicilia, Umbria, Marche) ed era stata abolita nel corso del tumultuoso 1860. La tassa applicata in periodo pre unitario imponeva regole assai rigide all'attività dei mugnai. Non si poteva macinare che in ore determinate, non dopo il tramonto, a meno che il mugnaio acconsentisse a restare chiuso solo nel mulino, potendo scassinare la porta solo in caso di incendio o alluvione. L'avventore, una volta scelto un mulino, non poteva andare da un altro. Le farine dovevano essere accompagnate da una bolletta e seguire una determinata via, nel mulino il mugnaio doveva abitare, l'accesso doveva essere possibile attraverso una sola porta la cui chiave era conservata dal custode pesatore che poteva visitare, senza l'intervento dell'autorità giudiziaria, non solo i locali adibiti alla macinazione, ma tutti gli ambienti del mulino.
Quintino Sella, ministro delle finanze, ne propose l'applicazione nel 1865, considerandola necessaria per questioni di bilancio, ma le obiezioni furono molte e l'anno si chiuse con un nulla di fatto, a causa delle dimissioni di Sella. Il progetto fu ripresentato nel giugno 1867 (reso necessario dalle ingenti spese sostenute durante la guerra dell'anno precedente) dal ministro delle finanze del governo Rattazzi, Ferrara. Una commissione incaricata di studiare i mezzi per raggiungere il pareggio di bilancio affermò, tra l'altro, la necessità di introdurre un nuovo tributo che colpisse un consumo di base anelastico in modo da garantire un gettito elevato e costante. Si era coscienti, tuttavia che "gravandosi con la tassa sul macinato, la mano sui meno abbienti" non si poteva però "rimanere spettatori indifferenti del gravissimo fatto che moltissimi possessori della rendita pubblica si sottraevano al pagamento dell'imposta di ricchezza mobile e in altri termini che la maggior parte di coloro che acquistavano i titoli del debito italiano, mettendo a frutto netto il loro dieci per cento, nulla contribuivano all'erario nazionale". La commissione, quindi, propose che l'imposta di ricchezza mobile fosse applicata sui titoli del debito pubblico dallo stesso giorno dell'entrata in vigore della tassa sul macinato. Dopo lunghe, vivacissime e dotte discussioni, la Camera approvò il progetto il 21 maggio 1868 con 219 voti contro 152. Il senato approvò il 27 giugno con 101 voti contro 11. La tassa avrebbe avuto effetto dal 1° gennaio 1869.
La tassa sul macinato, pur tra mille polemiche e grandi ostilità, funzionò: a metà degli anni '70 garantiva all'erario una cifra attorno agli 80 milioni annui. Dopo discussioni, progetti e polemiche durissime, la camera uscita dalle elezioni del maggio 1880 riprese in esame la situazione e a luglio votò a grande maggioranza seguita a breve distanza dal senato per una riduzione della tassa a 1,5 lire al quintale a partire dal !° gennaio 1880 e per la sua totale abolizione dal 1° gennaio 1884 (1).


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