Finanze


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Per finanza locale (1) si intende quel settore della finanza pubblica che si riferisce alle unità amministrative territoriali di base. Esistono tradizionalmente una serie di servizi che sono di pertinenza degli enti locali in quanto rispondono a bisogni della comunità locale. La finanza comunale è stata prevalentemente alimentata da entrate tributarie proprie (imposta di famiglia, imposta di consumo, ecc.) e da compartecipazione a tributi erariali.
La gestione delle finanze nel Lombardo-Veneto dipendeva dalla direzione finanza del dicastero delle finanze di Vienna; diretta emanazione era la direzione generale del censo e delle imposte che comprendeva i sei uffici preposti alle dogane, al demanio, alle zecche e miniere, al lotto, alle poste e alle imposte dirette. Alla direzione generale erano soggette la commissione centrale del censo e il senato di finanza. Il senato di finanza, espressione del governo lombardo-veneto, era l'unica sezione indipendente da Vienna ed era formato dal governatore, dal vice presidente del governo e dai consiglieri di governo addetti alle finanze; essendo però direttamente subordinato alla camera aulica di Vienna ne costituiva in tal modo una sorta di autorità subalterna esecutiva.
Nel 1829 venne istituito il magistrato camerale che esercitava il proprio controllo su un vasto campo comprendente: imposte indirette, beni del demanio e della corona, privative, diritti regali, manifatture erariali, miniere, oggetti fiscali, Monte dello Stato, debito pubblico, soldi per impiegati, sovvenzioni, pensioni, dotazioni militari, casse erariali... Il Magistrato era composto da un presidente e da sei consiglieri di governo; dipendeva direttamente dalla camera aulica viennese e la sua autorità era pari a quella del senato governativo e dei maggiori organi militari. Dirigeva l'attività di dodici uffici tra cui le intendenze di finanza. A questi uffici si affiancavano le ragionerie centrali (con sede a Milano e a Venezia) e le ragionerie provinciali. Preposti all'amministrazione del settore finanziario in ogni capoluogo di provincia vi erano l'intendenza di finanza, la direzione del demanio, i conservatori del registro e delle ipoteche, i collettori del lotto e la direzione (poi ispettorato) postale.
Le intendenze di finanza, in particolare, unitamente alla direzione del lotto e zecca (l'unica mantenuta dopo la riforma del 1829) amministrava i dazi di transito, i dazi di consumo, la vendita privativa di sali, tabacchi, polveri e nitriti, carta bollata e la gestione di fabbriche, edifici, boschi dello Stato. L'attività finanziaria del comune dipendeva dalla Prefettura lombarda delle finanze, dagli organismi provinciali e in via indiretta dal dicastero austriaco delle finanze.
Dopo l'Unità, il governo presieduto da Minghetti individuò le cause del disavanzo fra entrate e uscite nell'abolizione di alcune tasse, ad opera delle luogotenenze, nell'eccessivo aumento del pubblico impiego e nel forte debito pubblico. In primo luogo si prese atto della situazione dei dazi di consumo, che dopo l'Unità avevano conosciuto un periodo di forte crisi di gettito, così la legge del 1864 impose, a pro dello stato, una tassa o dazio sul consumo del vino, dell'aceto, dell'acquavite, dell'alcool, dei liquori, delle carni. I comuni potevano imporre un dazio addizionale non superiore ai due quinti del dazio governativo sulle bevande e sulle carni, un dazio speciale sui commestibili e sulle materie designate dalla legge. Analogo principio improntò la sovrimposizione alle imposte dirette. La legge del 1865 stabilì che le sovrimposte dovevano colpire tutte le contribuzioni dirette e tolse ai comuni la facoltà di gravare la mano più su una che su un'altra imposta erariale.
Nel 1866 ai ruoli della ricchezza mobile furono tolti i redditi provenienti da stipendi, pensioni e altri assegni fissi pagati dal tesoro. Ciò tagliò, ovviamente, le possibili sovrimposte. Tolto questo cespito. ai comuni fu concesso di imporre una nuova tassa, quella sul valore locativo (decreto legge 28 giugno 1866). Lo stato, però, sottrasse alla tassazione locale altri generi (farine, riso, olii, burro, grassi, zucchero) sottoposti a dazi erariali. Nel 1868 ai ruoli furono sottratti anche i redditi derivanti dal debito pubblico e ai nuovi comuni fu concessa l'imposizione di due nuove tasse, la tassa di famiglia e quella sul bestiame. Nel 1870 venne abolito, per comuni e province, il diritto di sovrimposta sui redditi della ricchezza mobile. Rimedio, nuove tasse speciali, allargamento (quindi aumento) della tassazione comunale sui consumi. In seguito i comuni poterono applicare una tassa di bollo sulle fotografie e sulle iscrizioni dei negozi. Nel 1874 lo stato tolse alle province le sovrimposte sui fabbricati concesse solo 4 anni prima. In quell'occasione si studiò la situazione della finanza locale. La legge di quell'anno stabilì che le spese facoltative dovevano avere solo scopi di utilità pubblica relativi alla circoscrizione territoriale dell'Ente, che le spese facoltative per finalità diverse avrebbe dovuto ottenere una maggioranza dei due terzi del consiglio comunale, che ogni deliberazione di lavori o acquisti per un valore superiore a 500 lire avrebbe dovuto essere accompagnata da un progetto tecnico indicante l'entrata corrispondente. L'età della Destra si chiuse con le proposte Minghetti del 1875 che intendeva lasciare allo stato solo la tassazione delle bevande per ritornare tutto il resto ai comuni (2).
Il titolario secondo cui é organizzato l'archivio di Branzi distingue in due serie, "Finanze" e "Imposte e tasse" documentazione che in altri casi risulterebbe corretto e naturale tenere unita (3).
La documentazione relativa la fisco e alla sua gestione, quindi, andrà studiata tenendo presente i due titoli. I titoli rilevati, infine, si presentano suddivisi in base alla tipologia di tassa riscossa.

Nessuna unità

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