Sezione 1897-1961


Contenuto
Il mutamento di maggior rilievo nella storia istituzionale del comune di Casnigo dello scorso secolo è l'unione con il confinante comune di Cazzano Sant'Andrea, avvenuta nell'anno 1928 e durata sino al 1959 (1). La fusione avvenenne, come risulta da una relazione del Podestà di Casnigo conservata nell'archivio, in ottemperanza alle direttive governative circa l'aggregazione dei Comuni con popolazione inferiore ai mille abitanti con i comuni limitrofi di maggire importanza. La popolazione di Cazzano Sant'Andrea risultava costituita, secondo il censimento del 1921, da 599 persone, mentre Casnigo ne contava 2789. I due Comuni, già consorziati all'epoca per il servizio medico ed ostetrico, ritennero utile tale scelta anche per i vantaggi che ne sarebbero conseguiti per le attività di coltivazione ed allevamento, oltre che per una gestione in economia dei servizi comunali che sarebbero passati ai funzionari di Casnigo.Tuttavia l'evento non ha portato, se non in piccolissima parte, per quanto si è potuto rilevare, alla commistione dei documenti prodotti dai due Comuni e sino ad allora conservati nei rispettivi archivi, che sono stati evidentemente tenuti in qualche modo separati.
Nel corso del 900' Casnigo mostra una lenta ma costante crescita della popolazione, passata dai 2372 abitanti del 1901 ai 3027 del rilevamento del 1961.Accanto alle tradizionali attività agricoli e pastorizie, gli abitanti sono coinvolti in nuove forme di produttività legate allo sviluppo industriale. Verso la fine dell'ottocento sorse al confine con Colzate lo stabilimento cotoniero "Dell'Acqua", primo passo verso la progressiva trasformazione della società e del paesaggio casnighese che assumerà sempre più, soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, una caratterizzazione industriale.
Nell'anno 1955 la struttura urbanistica del paese risulta ancora sostanzialmente invariata, ma nel periodo successivo si assiste, con ritmo accellerato, alla costruzione di nuovi edifici ad uso residenziale e sede di servizi per la comunità. E sono di questo periodo i primi rilevanti interventi da parte dell'Amministrazione comunale per la regolamentazione dell'espansione edilizia.
Conseguenza di questo processo sono lo sviluppo delle rete viaria, sia all'interno dell'abitato, sia a servizio delle nuove costruzioni, con miglioramento dei collegamenti verso il fondovalle e le zone a monte, sia la realizzazione nel comune di più moderni servizi: dall'acquedotto civico costruito nel 1910, con la captazione delle sorgenti "Fagioleda" in Gandino, sino ad illuminazione pubblica, fognature, servizi medici, sociali e all'espansione di strutture ospedaliere, scolastiche e ricreative.
Nell'intervallo che separa il T.U. del 1898 da quello del 1908 intervennero riforme sui segretari comunali e provinciali (legge 7 maggio 1902 n. 144); sulla durata degli organi (restava fissata la durata complessiva di sei anni per i consigli comunali e provinciali, ma se ne disponeva la rinnovazione per un terzo ogni biennio, per il Sindaco, la Giunta, il presidente della deputazione e la deputazione provinciale invece la permanenza in carica era stata fissata in quattro anni legge dalla legge 11 febbraio 1904 n. 35); sulla finanza locale e l'assunzione di mutui (legge 9 luglio 1905 n. 378 e successivamente il T.U. 5 settembre 1907 n. 751 sulle imposte dirette apportava altre innovazioni in materia finanziaria); sulla materia elettorale, nella quale la legge 2 giugno 1907 n. 294 aveva ridotto i termini per la revisione e pubblicazione delle liste. Inoltre, in base alla riforma della Giustizia amministrativa, di cui alla L. 17 agosto 1907 n. 639, erano modificate anche le norme in materia di tutela giurisdizionale.
Il Governo Giolitti emanò il nuovo T.U., il R.D. 21 maggio 1908, n. 269, le cui disposizioni fondamentali non proposero mutazioni sostanziali. Tra il T.U. del 1908 e quello del 1915 vennero apportate altre riforme in materia elettorale. Con la legge 30 giugno 1912 n. 665, vennero ammessi all'elettorato attivo tutti i cittadini (maschi) di almeno 30 anni di età, anche se analfabeti, e quelli, tra i 21 e i 30 anni, aventi taluni titoli di capacità o di censo. Tale legge, coordinata con le precedenti disposizioni, formò il T.U. 30 giugno 1912, n. 666, poi ancora parzialmente modificato (legge 22 giugno 1913, n. 648 e T.U. 26 giugno 1913, n. 821). Con la legge 19 giugno 1913, n. 640 tali prerogative venivano garantite anche all'elettore amministrativo. A questa legge si collegarono anche nuove disposizioni in materia di formazione e tenuta delle liste elettorali, di disciplina delle votazioni, di regime delle incompatibilità. Venne stabilita in quattro anni la durata dei consigli comunali e provinciali (art. 2), portando a 30 il numero minimo dei consiglieri provinciali, prima fissato in 20. Il nuovo T.U. effetto del R.D. 4 febbraio 1915, n. 148 non si discostò dal precedente se non per la parte concernente la disciplina elettorale.
L'avvento del fascismo arrestò lo sviluppo democratico delle autonomie locali mutando radicalmente i rapporti tra gli enti comunitari e lo stato.
La serie innovatrice dei provvedimenti in materia, iniziò, in base ai pieni poteri concessi al Governo con la legge 3 dicembre 1922, n. 1601, con l'emanazione del R.D. 4 gennaio 1923 n. 29, che modificò sostanzialmente, l'art. 135 del T.U. 1915, portando a 10 effettivi e 5 supplenti, oltre al Sindaco, i membri delle giunte municipali dei Comuni superiori ai 500.000 abitanti. Con il R.D. 11 gennaio 1923, n. 9 venne estesa alle nuove provincie la legge comunale e provinciale; il R.D. 24 settembre 1923 n. 2074 dette facoltà al Governo di conferire ai Commissari e alle Commissioni straordinarie per l'amministrazione dei Comuni e delle Provincie i poteri dei rispettivi consigli. Segue l'importante R.D. 30 dicembre 1923 n. 2839, di modifica del T.U. del 1915 che innova profondamente l'assetto istituzionale del comune. Le modificazioni, apportate dai 119 articoli del suddetto R.D. alla legge del 1915, ebbero lo scopo di conseguire alcuni obiettivi fondamentali: il decentramento di alcuni compiti dal Ministero alle Prefetture (come la vigilanza, la tutela e la giurisdizione contabile sugli atti della provincia, la potestà di revocare, rimuovere e dichiarare decaduti i sindaci nei casi previsti dalla legge, la facoltà di prorogare i termini della gestione straordinaria in caso di scioglimento dei consigli); il conferimento di nuove funzioni ai prefetti (come quelle di sospendere le amministrazioni locali, di approvare e costituire i consorzi intercomunali o fra provincie e comuni, di dichiarare obbligatori i consorzi per spese pure obbligatorie, di sciogliere le relative amministrazioni, di esercitare poteri disciplinari sugli impiegati degli Enti locali, quando gli organi competenti non provvedono); la devoluzione alle sottoprefetture delle attribuzioni prefettizie che non oltrepassano gli interessi della circoscrizione circondariale, o non hanno riflesso con interessi di enti estranei alla circoscrizioni con l'effetto di liberare di migliorare l'azione della prefettura e del Ministero rispettivamente in ambito provinciale e nazionale.
L'intento di tale riforma fu anche quello di salvaguardare la Provincia, come un ente di decentramento istituzionale e il mezzo di collegamento e di soddisfazione degli interessi generali dei Comuni compresi nella sua circoscrizione riconducendo le Provincie stesse alla loro vera essenza di organo amministrativo più tecnico che politico. Si volle accrescere l'autonomia dei Comuni e semplificarne l'azione graduando la tutela economica e l'ingerenza governativa in rapporto all'importanza del Comune; si aumentarono le competenze della Giunta municipale e della Deputazione provinciale, e le facoltà dei Sindaci e dei presidenti provinciali, si modificò il controllo governativo sulle deliberazioni e sugli atti, si ampliò la possibilità di contrarre mutui, si semplificò la procedura della revisione dei conti. Per compensare questo allentamento dei controlli, si creò un sistema di contrappesi, che sono visibili nella relazione del progetto Bonomi presentato alla Camera il 2 febbraio: a) maggior rilievo alle opposizioni delle minoranze; b) estensione della possibilità di esercizio dell'azione popolare anche alle giurisdizioni amministrative; c) intensificazione della funzione ispettiva; d) aggravamento delle sanzioni repressive, per cui si introduce l''istituto della sospensione delle Amministrazioni comunali e provinciali e quello del prolungamento della gestione straordinaria fino a un anno, se lo scioglimento del Consiglio è ripetuto entro il termine di due anni dal precedente scioglimento; e) nuovo e più efficace ordinamento dell'istituto della responsabilità degli amministratori e dei pubblici impiegati. Le novità del 1923 segnarono un effettivo progresso della legislazione comunale e provinciale, colmando lacune, come in materia di consorzi e di rapporto di impiego locale. Particolarmente innovative risultarono le norme sul controllo di legittimità, per il quale era sancito l'invio al Sottoprefetto di un semplice elenco delle deliberazioni adottate, che divenivano esecutive qualora entro i 5 giorni il Sottoprefetto non ne avesse richiesto copia integrale: in tal caso, e limitatamente a quelle cui tale richiesta si riferiva, il Sottoprefetto ne poteva pronunciare l'annullamento nei quindici giorni. Tale procedura snella e funzionale eliminava, tra l'altro, il vecchio istituto del decreto di sospensione. Furono introdotte nuove norme nel sistema delle contrattazioni, stabilendo i limiti nei quali, in deroga al principio dei pubblici incanti, era possibile provvedere con la licitazione privata e in casi eccezionali, previa autorizzazione sottoprefettizia, a trattativa privata. Venivano esentati dal visto di esecutività i contratti non eccedenti determinati limiti di valore a seconda dell'entità demografica dei Comuni.
L'introduzione dell'istituto podestarile venne attuato dapprima nei comuni fino a 5.000 abitanti, con legge 4 febbraio 1926, n. 237, la quale dispose che il podestà era assistito, ove il Prefetto l'avesse ritenuto opportuno, da una Consulta municipale, il cui numero era determinato dal Prefetto stesso, in misura non minore a 6 membri, di cui un terzo nominato direttamente e i due terzi erano individuati degli Enti economici, dei Sindacati e delle associazioni locali. La consulta dava pareri facoltativi, sulle materie richieste dal podestà, e obbligatori sui bilanci, gli impegni ultraquinquennali, le imposizioni dei tributi, l'alienazione dei beni, l'assunzione diretta dei pubblici servizi. Il podestà durava in carica 5 anni e poteva essere trasferito da un Comune all'altro della Provincia.
L'ordinamento podestarile fu dopo poco esteso a tutti i Comuni col R.D.L. 3 settembre 1926, n. 1910, senza, però, possibilità di trasferimento del podestà per i Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti o capoluoghi di provincia. Per questi poteva essere anche nominato un vice podestà o due per i Comuni con più di 100.000 abitanti (dei quali uno eventualmente anche impiegato statale), ed era obbligatoria la Consulta, con un numero di membri da 10 a 40, secondo l'entità demografica del Comune.
Venne così completamente sostituito il sistema delle elezioni con quello della nomina dall'alto, attribuita per lo più in base a benemerenze di partito.Tutto il complesso organizzativo della pubblica amministrazione era ordinato secondo le linee di una stretta "gerarchia". Si diede attuazione, in tal modo, al nuovo corso iniziato l'anno precedente con la soppressione di tutti i partiti e di tutte le forze politiche estranee al fascismo: cessò ogni concreto collegamento tra l'elemento popolare e la sua espressione amministrativa, affidata a funzionari del regime e veniva ad instaurarsi un sistema di statalizzazione degli enti minori, ridotti al rango di "organi indiretti dello Stato".
Il R.D.L. 23 ottobre 1925, n. 2113 istituì il servizio ispettivo e prescrisse il giuramento di fedeltà al regime per gli impiegati dei comuni e delle provincie. Se con la riforma del 1923 erano state istituite le Sottoprefetture anche nei circondari sede del capoluogo di Provincia, ritenendo di doverle elevare ad organi di grande rilievo amministrativo, a poco tempo di distanza si operò in modo ben difforme: col R.D. 21 ottobre 1926, n. 1890 prima si ridussero di numero, e poi con il R.D. 2 gennaio 1927, n. 1, si soppressero del tutto. Con il R. D.15 ottobre 1925, n. 2578 venne approvata la legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle provincie.
Il R.D.L. 17 marzo 1927, n. 383, conferì al Governo pieni poteri per una revisione generale delle circoscrizioni comunali, da attuarsi entro il 31 marzo 1929, anche fuori dei casi previsti dagli artt. 118, 119 e 120 del T.U. 1915 e dall'art. 8 R.D. 1923, e senza l'osservanza delle procedure richieste. Durante il periodo fascista vennero, in tal modo, soppressi ben 2184 Comuni, operando in molti casi in base a ingerenze indebite di personalità del partito o con indagini sommarie e superficiali.
La legge 27 dicembre 1928 n. 2962 trasformò anche l'ordinamento delle provincie e istituì il preside e il rettorato, in sostituzione degli organi elettivi, ai quali, del resto, non era ormai possibile, con la soppressione di tutti i partiti, assumere un vero carattere rappresentativo.
Il preside e il vice preside della Provincia (con funzioni vicarie) erano nominati con Decreto reale, su proposta del Ministro dell'Interno, duravano in carica 4 anni, e potevano essere revocati, senza possibilità di ricorso. Il rettorato, composto da membri nominati con Decreto reale, su proposta del Ministro dell'Interno, in numero da 4 a 8, secondo la popolazione della Provincia, esercitava le funzioni che le leggi precedenti attribuivano al Consiglio provinciale, restando assegnate al rettore le funzioni già spettanti al Presidente della Deputazione provinciale e alla Deputazione stessa.
Si provvide, anche, alla riforma dell'ordinamento contabile e finanziario dei Comuni, con il potenziamento dei poteri di controllo tutorio sulle spese e sui bilanci, spettanti alla Commissione per la Finanza locale, che era stata istituita con R.D. 29 ottobre 1925, n. 1924, in sostituzione dell'antica Commissione reale per il credito comunale e provinciale, di cui alla legge 17 maggio 1900, n. 173.
Allo scopo, poi, di sottrarre alle influenze e alle vicissitudini locali il capo degli uffici comunali, e di legarlo più strettamente agli interessi dello Stato, venne introdotto, con il D.L. 17 agosto 1928, n. 1953, il nuovo stato giuridico dei segretari comunali, in base al sistema della statalizzazione, completato col R.D. 21 marzo 1929, n. 371, con cui si dette una organica disciplina di tale categoria, dopo che le leggi comunali del 1865, 1889 e 1898 avevano appena sfiorato l'argomento, e la legge 7 maggio 1902, n. 144, aveva posto la prima disciplina normativa della materia.
Queste sono le tappe fondamentali, attraverso le quali si pervenne al T. U. approvato col R.D. 3 marzo 1934, n. 383. Il T.U. apportò, di fatti, notevoli modifiche alle norme anteriori. Venne esteso a tutti i comuni del controllo prefettizio, anche di merito, sulle deliberazioni non sottoposte all'esame speciale della G.P.A., laddove la legge podestarile 4 febbraio 1926 n. 237 aveva limitato il sindacato prefettizio di opportunità ai Comuni minori; la durata della carica podestarile venne limitata a 4 anni. Altre modifiche riguardarono la determinazione del titolo di studio minimo della scuola media superiore e degli altri requisiti occorrenti per la carica podestarile; la sospensione dei podestà; l'eliminazione dell'istituto del trasferimento del podestà; l'attribuzione al prefetto della facoltà di istituire le consulte nel Comuni con popolazione inferiore ai diecimila abitanti; l'attribuzione della nomina dei Rettori provinciali al Ministro dell'Interno; il riordinamento dei controlli sui Comuni e sulle Provincie con attribuzione al prefetto del controllo anche di merito sulle deliberazioni non sottoposte alla G.P.A.; la soppressione dell'azione popolare.
Dopo la caduta del fascismo, l'amministrazione dei Comuni e delle Provincie, in attesa di poter tornare al sistema elettivo, venne disciplinata dal R.D.L. 4 aprile 1944, n. 11. Tale D.L. dispose che ogni Comune avesse un Sindaco e una Giunta municipale, la quale esercitava anche le competenze spettanti al Consiglio a norma del T.U. 1915 e delle modifiche del 1923; sindaco e assessori venivano nominati dal prefetto e potevano essere revocati dal medesimo per "inadempienza dei doveri d'ufficio o per motivi di ordine pubblico", senza possibilità di ricorsi amministrativi o giurisdizionali. L'Amministrazione provinciale, in questa fase, era composta da un presidente e da una deputazione provinciale (con competenza estesa alle materie già di competenza del consiglio); presidente e deputati provinciali nominati dal prefetto, con potestà di revoca. Convocazione, composizione e funzionamento degli organi ritornarono ad essere regolati dalle norme del T.U. 1915, modificate dal R.D.L. 30 dicembre 1923 n. 2839. Il decreto provvide anche al riordinamento della G.P.A., stabilendo la nomina, da parte della Deputazione provinciale, dei 4 membri effettivi e dei 2 supplenti, di provenienza non burocratica, previsti per la formazione dell'organo.
Successivamente, con il D.L.L. 7 gennaio 1946 n. 1 che era stato preceduto dalle disposizioni del D.L.L. 28 settembre 1944 n. 247 riguardanti la formazione delle liste elettorali, e dal D.L. 1 febbraio 1945 n. 23 estensivo del diritto di voto alle donne, vennero dettate le norme per la ricostituzione delle Amministrazioni comunali su base elettiva come al testo prefascista in materia, cioè al T.U. del 1915.
Detto D.L. n. 1 stabilì che ogni comune avesse un consiglio, una giunta e un sindaco, e modificò in parte la composizione dei Consigli e delle Giunte, accrescendone il numero dei membri per i comuni di maggiore entità demografica; lasciò sostanzialmente invariate le norme per la elezione del Sindaco da parte del Consiglio comunale, e confermò la durata quadriennale degli organi elettivi comunali.
Altre disposizioni in materia sono contenute nella legge 24 febbraio 1951 n. 84 recante le "Norme per la elezione dei consigli comunali". All'art. 15, in riferimento alla composizione della Giunta municipale, si lasciò al Consiglio comunale la facoltà di stabilire il numero degli assessori, entro determinati limiti massimi previsti dalla legge per le varie categorie di comuni; l'art. 16, in tema di elezione del Sindaco, precisava che questa andava fatta con l'intervento dei due terzi dei consiglieri in carica (anziché assegnati al comune). L'art. 17 (innovando l'art. 280 del T.U. 1915) prescrisse la rinnovazione totale dei consigli comunali, oltre che a fine quadriennio, anche nel caso delle modifiche territoriali implicanti una variazione di almeno 1/4 della popolazione e per il caso in cui i consigli stessi avessero perso, per qualsiasi motivo, la metà dei propri membri; si precisò, infine anche, che il Sindaco e la Giunta municipale dovevano restare in carica fino, alla nomina degli assessori. Tali disposizioni furono trasferite nel T.U. 5 aprile 1951 n. 203.
Con l'art. unico della legge 22 marzo 1952 n. 173 vennero modificate le norme per la elezione del Sindaco, nel senso che, qualora la convocazione del consiglio per la nomina del sindaco fosse andata deserta o nessuno avesse avuto nella prima votazione la maggioranza prescritta, per la adunanza da tenere negli otto giorni successivi sarebbe stata necessaria la presenza della metà più uno dei consiglieri in carica (in precedenza la nuova votazione era valida con qualunque numero di votanti).
La legge 23 marzo 1956 n. 136, in modifica del T.U. 1915 stabilì, tra l'altro, il ritorno al sistema del numero fisso degli assessori municipali, ripristinando la composizione determinata dal D.L.L. 7 gennaio 1956 n. 1, e dettando per il resto norme modificative in materia elettorale. Tutte queste norme sono state, poi, trasferite nel T.U. per l'elezione dei consigli comunali, approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, numero 570.
Per ciò che concerne la provincia, dopo le norme del R.D.L. 4 aprile 1944, n. 11, la legge 8 marzo 1951 n. 122, relativa alla elezione dei Consigli provinciali, ripristinò, sostanzialmente, le disposizioni del R.D. 1923 sulla composizione del consiglio provinciale, portando modifiche alla composizione della Giunta provinciale (la composizione veniva graduata in relazione all'entità demografica della provincia); disciplinò l'elezione del presidente della giunta e degli assessori provinciali, e stabilì che il presidente della giunta convocasse e presiedesse il consiglio provinciale.
Ripristinati, coi provvedimenti suddetti, gli organi elettivi comunali e provinciali, e regolata la loro formazione, composizione e competenza, vennero modificati, sia pure parzialmente varie disposizioni del T.U. del 1934 che era stato mantenuto in vita per la parte non attinente agli organi. Questo orientamento aveva trovato giustificazione nella considerazione che la maggior parte delle disposizioni del 1934 erano analoghe a quelle delle precedenti leggi comunali o derivavano direttamente da esse.
Con la legge 9 giugno 1947 n. 530, di 27 articoli si aggiornarono i valori relativi alle modalità di formazione dei contratti (articoli 1 e 10); si semplifica il procedimento contrattuale, con l'abolizione del parere del Consiglio di prefettura, già previsto dal T.U. 1934 (artt. 2, 11); si eliminò il "visto di esecutività" prefettizio sulle deliberazioni come espressione di un controllo di legittimità e di merito e si stabilì un semplice controllo prefettizio di legittimità, in via repressiva, divenendo altrimenti le deliberazioni esecutive per mera decorrenza di termini (artt. 3, 12); conformemente al criterio già adottato dal T.U. precedente, si rese graduale il controllo di merito esercitato dalla G.P.A. alle varie classi di comuni, ripartite secondo la loro entità demografica (artt. 4, 5, 6, 7, 8, 13); si modificò la composizione della commissione di disciplina, prevista dagli artt. 230 e 231 T.U. 1934, per gli impiegati dei comuni e delle provincie (art. 14); si aggiornano i valori indicati dagli artt. 284 e 285 T.U. 1934, ai fini della formazione dei progetti, perizie e preventivi e dei pareri relativi ai progetti di opere pubbliche (artt. 15, 16); si confermò il principio dell'art. 296 T.U. 1934, che i contratti di minore importo fossero esecutivi senza visto prefettizio (art. 18); si aggiornò la dizione dell'art. 62 T.U. 1934, circa l'affissione all'Albo pretorio delle deliberazioni, data la ricostituzione degli organi plurimi del Comune e della Provincia (artt. 21, 22); si richiamò in vigore l'art. 255 T.U. 1915, concernente "l'azione popolare" esperibile dai contribuenti per far valere azioni spettanti al Comune o alle frazioni (art. 23); si ripristinò la possibilità, già prevista dalla legge 31 maggio 1913, n. 468, per i comuni di assumere, anche sotto forma di Azienda speciale, l'impianto e la gestione di farmacie (art. 27); si aggiornano i limiti delle ammende per contravvenzioni ai regolamenti comunali e delle competenze delle Giunte municipali in materia di azioni possessorie (artt. 9 e 26); si richiamarono, per le attribuzioni e il funzionamento degli organi comunali, il T.U. 1915 e le modifiche del 1923.
Continuando il sistema delle parziali correzioni alla vecchia legislazione numerosi altri testi legislativi apportano modifiche a varie disposizioni del T.U. 1934, concernenti i segretari e i dipendenti comunali e provinciali (DLL 16 gennaio 1945, n. 48) e le disposizioni relative al bilancio preventivo o consuntivo, alla contabilità comunale e provinciale, alla spesa per servizi d'interesse generale. Si accentuò il carattere popolare delle rappresentanze comunali e provinciali e si innovarono anche le norme in materia di gratuità delle funzioni, stabilendosi apposite indennità di carica.
Per effetto dei decreti del decentramento dei servizi delle amministrazioni statali si ampliarono le funzioni dei Comuni e delle Provincie.
Molto importante, sul piano della organizzazione generale della pubblica amministrazione, la legge 8 marzo 1949 n. 277, che sostituì l'art. 19 del T.U. comunale e provinciale 1934, circa il potere prefettizio di vigilanza generale sulle amministrazioni locali (potere che comprende la potestà di inviare commissari per l'adozione di atti obbligatori per legge o per amministrarle, quando esse non possano esplicitare le loro funzioni per qualsivoglia motivo. Altra notevole legge, quella 15 febbraio 1953, n. 71, diede la possibilità di ricostituzione dei Comuni soppressi dopo il 28 ottobre 1922 anche in mancanza del requisito del minimo di popolazione (abitanti 3.000) richiesto dagli artt. 33 e seguenti del T.U. 1934.
Con il T.U. 16 maggio 1960, n. 570 venne rivisitata infine la materia delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali.
***Nel 1897 anche il Comune di Casnigo provvede all'adozione del titolario previsto dalla circolare, div. III, sez. II, n. 17100/2 del 1 marzo 1897, circa le istruzioni per la tenuta del protocollo e dell'archivio per gli uffici comunali, conformandosi dunque ai criteri di gestione della documentazione adottati su tutto il territorio nazionale, ed è sostanzialmente in riferimento alla struttura prevista da tale titolario che i documenti a noi pervenuti si sono nel tempo sedimentati Tuttavia, come si è potuto constatare nel lavoro svolto, anche il carteggio appartenente a questa nuova sezione, così come il precedente, è stato conservato in maniera piuttosto disordinata, mostrando un'applicazione solo parziale delle norme di ordinamento e un'aggregazione spesso confusa della documentazione sia all'interno dei fascicoli che dei faldoni. In particolare è da rilevare nel complesso archivistico originale la presenza di oltre 30 faldoni, riportanti sul dorso l'indicazione "atti vari" o "oggetti vari" e contenenti carteggio relativo all'intero arco temporale della sezione (in particolare anni 1900-1950) e che pur concernendo prevalentemente la categoria "amministrazione", si è tuttavia dimostrato appartenere a tutte le diverse voci del titolario, alle quali si è provveduto a riassegnarlo, Anche nei restanti faldoni è stato frequente il rinvenimento di carteggio disomogeneo, spesso non corrispondente alle indicazioni riportate sulle etichette esterne. Da segnalare, a livello di consistenza documentaria, una diminuzione quantitativa abbastanza marcata attorno all'anno 1912 rispetto al periodo precedente, soprattutto in riferimento alla categoria "carteggio generale"; ed anche la qualità della gestione archivistica, sino a quel momento condotta con migliore cura sia nella conservazione materiale delle carte sia con maggiore attenzione al rispetto della classificazione dettata dal titolario, risulta nettamente peggiorata. L'unico intervento di riordino della documentazione eseguito nel secolo scorso di cui si ha notizia ha inizio nell'anno1957, ad opera dell'archivista Bottagisi Pietro di Albino, che in una relazione descrive in questi termini lo stato dell'archivio, "devo affermare che un archivio vero e proprio non esiste,(...) esiste un ammasso di carte e documenti (...) faldonati senza nessun ordine, classificazione e registrazione". Lo stesso archivista stima in numero di 500 i faldoni necessari per assicurare la conservazione della documentazione e per garantire funzionalità futura all'archivio (vedi unità 5-4, 58. L'indicazione, nella descrizione delle schede, degli enti e delle persone con i quali il Comune si è relazionato ha privilegiato i soggetti più frequentemente ricorrenti e con i quali sono state costituite le pratiche di maggior rilievo ed interesse. Nel caso la scheda contenga documentazione relativa ad ulteriori istituti o persone, si è provveduto a segnalarlo aggiungendo la dicitura "carteggio con enti diversi e fornitori" o "carteggio con enti diversi e privati" al termine della descrizione.

Nessuna unità

Link: www.archiviedocumenti.it/archivi/?str=62&prg=8