Mulini, folli e tintorie


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I documenti raccolti in questa serie, composta di sedici unità tipologicamente differenziate, riguardano la gestione dei mulini e dei folli di proprietà comunale, e dei connessi diritti d'acqua, estesi anche alla distribuzione sul territorio comunale e alla manutenzione delle seriole. La parte più antica è costituita prevalentemente da strumenti di vendita, locazione o retrovendita degli impianti, sovente oggetto di ipoteche per il loro elevato valore. Completano la serie atti relativi alla gestione degli impianti, con capitoli d'incanto, inventari dei beni mobili e note di spesa delle opere di manutenzione.
A Gandino la lavorazione di pannilana, nelle sue varie fasi, è documentata come peculiare dal primo medioevo. A ciò venivano destinati vari edifici, nei quali in genere le macchine addette erano azionate dall'energia idraulica fornita dai canali che derivavano l'acqua dai torrenti che scorrono in valle, primo fra tutti il Romna.
A Gandino il comune è documentato essere proprietario di "folli" o "folloni" (detti anche gualchiere), nei quali veniva effettuata la feltratura dei panni di lana, almeno dalla seconda metà del XIV secolo (unità 282) mentre l'affitto di beni quali mulini e folli è parimenti testimoniato in archivio sin dal primo Quattrocento (unità 304) quando il comune appare proprietario di tre folli: "Fullum de medio", "Fullum de Novis" e "Fullum de Momathico". A metà '400 è testimoniato un "Fullum de nuo factum inter molendinum de Medio et Molendinum de la Cornella" (1).
Gli statuti del 1435 contengono, quindi, norme precise per l'affitto sia di mulini sia di folli di proprietà comunale. Ad esempio, la regola LXV stabiliva, fra l'altro, che i folli e la rasega (la segheria comunale) venissero incantate "nel solito modo", cioè attraverso una gara al rialzo (2). Col termine "follo" si definiva l'intero edificio che conteneva la macchina da gualca e che comprendeva anche un'abitazione dove il follatore doveva, per ragioni di sicurezza, risiedere. Il follatore riceveva l'edificio con tutti gli utensili necessari e i diritti d'uso ma doveva lasciarlo migliorato e non peggiorato. Per questo, al termine del periodo d'affitto, i consoli dovevano effettuare una stima delle attrezzature. La manutenzione spettava agli affittuari, fatta eccezione per i "cerri", gli alberi da trasmissione, ai quali doveva provvedere il comune. In caso di danneggiamento, infatti, il comune doveva consegnare agli affittuari la legna necessaria per rifare gli alberi degli edifici, il cui trasporto era però a spese di questi ultimi.
Nel luglio del 1549 venne venduto il "Follo de Novi" e il suo recupero nel 1561. L'estimo dei Tre Nobili (1547), però, non menziona che un solo follo di proprietà comunale, probabilmente a causa di cessioni della prima metà del XVI secolo alle quali, a partire dagli anni settanta, fecero seguito recuperi. In quel decennio, infatti, sono documentati 4 folli comunali: Cornella di sopra, Cornella di sotto, de Novi di dentro, de Novi di fuori.
Nel corso del XVII secolo si ha la progressiva, e definitiva, alienazione di tali beni. Nel dicembre del 1593 " ... vedendosi che di folli di essa comunità si cava poco reddito, et sono di molta spesa, fu ordinato vender al pubblico incanto il follo della Cornella di sotto ...et che detto follo non si venda per manco di scudi cinquecento..." Nell'impossibilità di trovare un acquirente, il comune dovette rassegnarsi a concedere il follo in affitto per la modica cifra di lire 50 annue. Nel marzo 1629, al termine di un lungo periodo durante il quale è testimoniata la sempre maggiore difficoltà ad affittare i folli a prezzi remunerativi, il comune si trovò nella necessità di chiedere in prestito a Bernardino Radici 400 scudi per acquistare miglio e frumento e di dare in cambio di tale somma i due folli de Novi (probabilmente posti in un unico edificio) sino al saldo del debito. Non si ha, in seguito, documentazione che attesti il recupero dei folli, probabilmente rimasti definitivamente in mano al Radici. Al comune rimaneva, quindi, il solo follo della Cornella, che cedette nel 1708 per estinguere un debito verso la parrocchia.
Per quanto attiene ai mulini il comune di Gandino agli inizi del '400 appare essere proprietario di quattro impianti, numero che sale a sette a metà '700. Il comune, quindi, non solo non aliena tale proprietà, ma nel corso dell'età veneta la incrementa. Mentre la lavorazione dei pannilana era attività diffusa sul territorio e nella quale il ruolo del comune non poteva che essere marginale (al punto che, come si è appena visto, esso finì per gradualmente liberarsi dei folli), la macina rimase sempre monopolio comunale, quindi incrementabile con profitto. E' vero che nel primo '500 il comune dovette cedere alcuni mulini, ma già nel corso di quel secolo fu in grado di recuperarli e di attivare nuove costruzioni. Già nel 1555 il comune acquistò due mole per il mulino "dela rasega de Peia", segheria che già era presente nel patrimonio comunale nel secolo precedente. E' peraltro assai probabile che dopo la separazione di Peia la segheria rimanesse nel patrimonio del neocostituito comune.
Sul finire del 1597, inoltre, venne affidato ad un mastro Domenico Moretto l'incarico di un nuovo mulino, già pronto per essere posto all'incanto già nell'aprile successivo, il cui impiego era finalizzato alla macina del "verzino", di un legno, cioè, da cui si ricavava una tintura di colore rosso. Dieci ani più tardi a questo mulino ne venne affiancato un altro atto alla macina di cereali.
L'affitto dei mulini era definito negli statuti comunali, i quali affidavano ai consoli il compito di effettuare mensili sopralluoghi per verificare lo stato degli edifici affittati; questi, al momento dell'incanto, venivano valutati da un "maestro esperto" accompagnato da due consiglieri del comune e dal notaio incaricato di annotare tutti gli utensili presenti in ogni mulino nello stato in cui si trovavano. I mulini a due ruote ne utilizzavano una per la macina di frumento e l'altra per i cereali minuti. Assieme agli utensili si ha notizia, nelle polizze d'incanto, delle attrezzature per i canali d'acqua, canali la cui manutenzione era affidata al molinaro. In caso di inadempienza, interveniva il comune che si rivaleva poi sul molinaro. I cereali prodotti localmente non erano sufficienti a soddisfare la domanda interna, e venivano così acquistati, in genere sul mercato di Palazzolo sull'Oglio, ma anche in altri mercati delle valli Camonica e Seriana.


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