Statuti


Soggetti produttori:

Contenuto
La comunità di Romano si caratterizza, come altre della provincia di Bergamo, per una tradizione di autonomia tenacemente rivendicata e difesa, nei confronti del comune cittadino e dello stato regionale. Essa è posta geograficamente in zona di confine, prima fra diversi stati cittadini, poi fra diverse province dello stato visconteo e poi ancora, dalla fine degli anni '20 del quattrocento, fra lo stato di Milano e la repubblica di Venezia. Ciò aveva comportato una certa benevola condiscendenza da parte dei signori cui si era trovata sottoposta e il riconoscimento di condizioni di autonomia tali da conferirle una fisionomia caratteristica e privilegiata rispetto ad altre comunità rurali(1).
Fu dalla prima metà del sec. XIV in poi che Romano accrebbe le sue condizioni di terra autonoma: dai Visconti infatti ottenne privilegi fiscali e la giurisdizione civile separata da Bergamo(2); Romano doveva comunque sottostare agli statuti della città di Bergamo anche se da due lettere (una di Carlo Visconti del 1368 e l'altra di Gian Galeazzo del 1399), riportate negli statuti del 1427, parrebbe di capire che già possedeva un proprio corpo statutario(3). Con il definitivo passaggio sotto la dominazione della Serenissima il borgo ottenne la conferma dello stato di separazione da Bergamo, divenendo così un comune indipendente, governato da un proprio rettore inviato dall'autorità centrale(4).
I privilegi dei Visconti e dei Veneziani in definitiva furono volti da assegnare ai rettori del comune funzioni giurisdizionali assai ampie che richiedevano, per parte loro, l'esistenza di statuti appositi, di contenuto giurisdizionale adeguato, in grado cioè di regolamentare in maniera completa le esigenze locali, fortemente mutate con la raggiunta autonomia e col venir meno della validità degli statuti urbani(5).
Le fasi di formazione del corpus statutario del comune di Romano possono essere riassunte schematicamente tenendo presente alcune date:
- 1410: Romano riceve gli statuti confermati dal rappresentante di Pandolfo Malatesta, Ugolino da Fano, il quale probabilmente contribuì alla stesura(6);
- 1413: separazione della terra di Romano dalla città di Bergamo e, conseguentemente inizio di autonomia amministrativa anche nel giudizio criminale(7);
- 1424: il consiglio generale del comune affida l'incarico a Bettino Baia, Alessandro Uscalcus, Antonio de Guizardis, Baldassarre de Cuxinis, Tommaso de Trussellis e Ruggero de Matuxis di revisionare e modellare le normative e i capitoli degli statuti criminali di Romano secondo quelli della città di Bergamo(8); i nuovi statuti passarono poi per la ratifica al feudatario del comune, Giovanni, conte de Covo, che li riconsegnò alla comunità nel 1427 con l'aggiunta di 36 nuovi capitoli agli statuti civili(9);
- 1428: gli statuti così composti vengono approvati dal governo di Venezia(10);
- 1477: il doge Andrea Vendramin conferma gli statuti e stabilisce le norme regolanti il giudizio negli appelli: a tal proposito viene assegnata ai rettori di Brescia l'autorità di giudicare oltre le competenze del podestà locale(11).
Gli statuti attualmente conservati nell'archivio del comune, trascritti in epoche differenti (1526, 1676, 1774) riproducono lo stesso corpo delle normative risalenti al 1427, venuto via via modificandosi con nuove rubriche e con l'eliminazione delle disposizioni rese inefficaci nel tempo. Così, fin dalla copia redatta da Giacomo Agazzi nel 1526(12), sono presenti nelle varie edizioni le parti che costituiscono i fondamenti amministrativi del governo del comune: "Statuta et ordinamenta communis Rumani" (divisa in 432 rubriche, trattati promiscuamente molti argomenti), "De ordine procedendi in criminalibus accusationibus" (composta da 164 rubriche relative alla giustizia criminale), "Capitula quorundam statutorum civilium" (composta da 26 rubriche aggiunte da Giovanni, conte de Covo), con annessi 12 capitoli, ancora in materia civile, risalenti al 1496.
La copia trascritta da Federico Ceruti nel 1676(13) presenta la particolarità di riportare tutti i capitoli delle sezioni nella doppia versione latino-volgare e, come scrive lo stesso redattore, con "l'omissione poi de capitoli per l'antichità in disuso..."(14), aggiornata con i nuovi "Statuti de Danni Dati" del 1598, elaborati dai notai Arsenio Gatti, Santo Tirabosco e Pietro Gatti(15).
La terza redazione ufficiale, infine, risale al 1774(16), ed è una ulteriore copia, in veste grafica più curata della precedente, del corpo statutario del 1427 con nuove aggiunte di capitoli (tra cui le norme stabilite dal consiglio di quarantia criminale nel 1720)(17) nonchè di lettere e decreti e con diversi indici alfabetici delle parti.
Da quanto fin qui emerso nel tracciare le linee di composizione e le vicende collegate alla tradizione manoscritta degli statuti del comune di Romano, appare evidente che questi riflettono il ruolo istituzionale che la comunità, proprio in forza dei suoi privilegi di autonomia, è venuta ad assumere nello stato veneziano come centro giurisdizionale libero dal controllo della città e di ogni altro ente superiore, fuorchè della dominante. E proprio dei suoi statuti (di cui la comunità si preoccupa sempre di chiedere la conferma come appare nel testo delle prime rubriche) la comunità si avvale per riaffermare l'aspirazione a costituire un corpo autonomo e separato all'intero della regione della Serenissima, per sottolineare i suoi diritti e privilegi, e per difendersi dalla vicina città e dalle sue pretese di comitatinanza.
In quest'ottica risultano più comprensibili i gravosi compiti e gli sforzi che il podestà locale doveva sostenere per conservare e difendere, come patrimonio prezioso, le prerogative della comunità; potrebbe a questo scopo giustificarsi la presenza nell'archivio di un singolare codice che, sebbene tardo (sec. XVII) fu composto certamente con l'intento di accompagnare e agevolare il podestà di Romano nell'esercizio del suo governo, indicandogli le corrette linee amministrative appositamente elaborate dalle autorità centrali di Venezia(18). Questo codice sia per il particolare contenuto, sia per l'accurata e inconsueta veste grafica, parrebbe, infatti, rappresentare un autentico esemplare di vademecum del podestà, raro nel suo genere.
Accanto a questi codici statutari l'archivio conserva pure carte sciolte, fascicoli ed una copia dello statuto del 1774 che risultano essere bozze statutarie contenenti note, osservazioni, aggiunte e cassature di norme cadute col tempo in disuso; una documentazione che, seppure non ufficiale, testimonia il costante lavoro di aggiornamento delle norme statutarie, espletato dagli organi comunali.


Dettagli unità (8) Dettagli unità

Link: www.archiviedocumenti.it/archivi/?str=4&prg=55