Comune di Gandino (sec. XII - 1859), Gandino


Tipologia: Ente (Comune)

Sede: Gandino

Profilo storico-biografico: Le fonti altomedievali rimasteci, parafrasando, il Mazzi (1) non danno alcun indizio dell'importanza politica ed economica che nei secoli acquistarono il comune e la sua valle. Il toponimo Gandino ricorre per la prima volta, allo stato attuale delle fonti documentarie rinvenute, in una carta manifestationis seu promissionis dell'830 (2). Successivamente ritroviamo il nome di Gandino in un atto di permuta del 909 (3) e nel 1035 (4), dove viene citato Barzizza ("Bargegia") come luogo sito in territorio di Gandino. Il comune di Gandino come istituzione affonda la sua origine già nel XII secolo, storicamente documentata dall'investitura fatta nel 1180 da Guala, vescovo di Bergamo, al comune di Gandino, rappresentato da tre consoli e due altre persone, dei diritti di caccia sulle terre comune e su quelle private. (5) Cinquant'anni più tardi, il 26 luglio 1233, venne steso il cosiddetto "atto di emancipazione", con il quale il comune di Gandino acquistava piena autonomia da Arpinello Ficieni, il signore (più nominale che di fatto) del luogo (6). Verso la metà del XIV secolo la valle Gandino venne assoggettata dai Visconti. A questo periodo appartiene un'altra importante testimonianza istituzionale del comune rappresentata dalla definizione dei confini del proprio territorio con i comuni di Leffe, Bianzano, Ranzanico, Endine, Sovere, Cerete, Clusone e Barzizza avvenuta nel 1353 (7). Sempre in questo periodo Gandino e Leffe ottengono privilegi in materia di oneri fiscali. Questi verranno successivamente ratificati da Pandolfo Malatesta e poi anche da Francesco Foscari durante l'epoca del dominio veneziano (8). Il 27 ottobre 1427 la valle fece atto di volontaria sottomissione alla Repubblica di Venezia, con le relative concessione da parte di questa di prerogative e privilegi. Risalgono al 1445 gli statuti del comune di Gandino (9) che ne definiscono la struttura amministrativa, organi e funzioni. L'arengo era l'assemblea dei capifamiglia; aveva la funzione di approvazione e ratifica delle proposte e nomine degli altri due consigli del comune. Era formato da un numero fisso di consiglieri (ottanta secondo gli statuti del 1445, sedici per ogni contrada che formava il comune: Peia, Cirano, Gandino alta, Gandino di mezzo, Gandino bassa; sessantaquattro dal febbraio 1533 per la separazione di Peia), e veniva di solito convocato dai consoli la domenica precedente il Natale e il giorno di San Pietro alla presenza del vicario di valle o di un suo delegato. Le operazioni di nomina avvenivano per cooptazione interna. In un primo momento i membri del consiglio uscente nominavano un gruppo più ristretto di elettori, dieci (due per ogni contrada che formava il comune e appartenenti a dieci famiglie diverse), che avrebbero dovuto a loro volta scegliere i dodici membri del consiglio di credenza. A questi, una volta prestato il giuramento, spettava il compito di eleggere i funzionari del comune e i nuovi membri dell'arengo. Accanto a tale assemblea era il consiglio dei ventiquattro, i cui membri, eletti in rappresentanza delle contrade che formavano il comune (Peia, Cirano, Gandino alta, Gandino di mezzo e Gandino bassa), erano un collegio essenzialmente consultivo. Gli statuti del 1445 stabilirono che l'arengo, la domenica prima di Natale, si riunisse ed eleggesse dieci "elettori" (due per ogni contrada che formava il comune e appartenenti a dieci famiglie diverse) i quali, a loro volta, avrebbero dovuto nominare i dodici membri del consiglio di credenza (due per Peia e Cirano e otto per le tre contrade interne a Gandino). Nel 1453 si stabilì che il rinnovo dei membri non fosse totale ma che rimanessero in carica due credendari uscenti. Nel 1531, in seguito alla separazione di Peia, il numero dei credendari passò a dieci (due per Cirano, tre per Gandino alta e Gandino bassa e due per Gandino di mezzo). Nel 1616, infine, si stabilì che i membri sarebbero stati in carica solo sei mesi, cinque per il primo semestre, altrettanti per il secondo. L'operato dei credendari era sottoposto, al termine del mandato, alla valutazione di sindacatori eletti allo scopo. Fra gli obblighi dei membri del consiglio di credenza si possono citare la supervisione dei registri contabili e il controllo mensile dei mulini. Il consiglio, unitamente ai consoli, aveva il compito di riscuotere i beni del comune ed era responsabile della gestione dei beni comunali, dai pascoli alla taverna, dai mulini ai boschi. Una volta nominati, i credendari provvedevano all'elezione dei membri dell'arengo, del consiglio dei ventiquattro, dei consoli, dei notai, dei fattori di ragione, dei campari, dei calcatori (uno per contrada, con l'incarico di "calcare", ossia ispezionare le località di confine, verificare i confini comunali e le distinzioni fra terreni privati), dei tagliatori di usufrutto (che, sotto giuramento, dovevano "talliare", cioè spartire e registrare le quote di beni comunali assegnate in usufrutto, a pagamento, a chi ne avesse diritto), del massaro, dei cinque deputati alla taglia delle bestie (uno per contrada, con il compito di "immatricolare" su un registro i capi di bestiame che erano sottoposti al pagamento di una taglia e controllare il regolare andamento di quanto disposto negli statuti del dazio del piede rotondo e della grattarola), dei quattro sindacatori (con il compito di verificare, in stretto contatto con i fattori delle ragioni, l'operato non solo finanziario di tutti i funzionari comunali, in particolare dei consoli, dei credendari, dei notai, dei membri del consiglio dei ventiquattro e dei vicini che custodivano i registri di "contraforto"), e dei trenta incaricati della periodica revisione dell'estimo comunale. Alla fine di giugno, il consiglio di credenza proponeva dieci nomi di vicini fra i quali venivano sorteggiati i quattro responsabili dell'amministrazione della taverna comunale, detti "conductores" (uno di Peia e Cirano e due di Gandino), un notaio ed un massaro ad hoc. Assieme al console nominavano il tesoriere di valle. Al consiglio spettava la facoltà di "deliberare ed emettere ordini in merito a tutte le questioni locali sia per quanto riguarda il rispetto della proprietà comune e la tutela dell'ordine pubblico, sia in materia procedurale e amministrativa tanto fiscale quanto giudiziaria, sia rispetto al culto ed agli interventi sul territorio". Spettava al consiglio far rispettare le norme statutarie sui confini, i prati da pascolo, le acque, i boschi, la manutenzione di edifici e strade. Poteva, assieme ai consoli, ordinare i calmieri dei prezzi di carni e pane, sovrintendeva alla nomina dei presbiteri, dei sindaci e deputati della chiesa di Santa Maria e di rendere pubblici i legati testamentari. La contumacia dei credendari era di un anno. I consoli rappresentavano il comune di fronte all'autorità cittadina e alla Dominante. Secondo quanto disposto dagli statuti del 1445, il consiglio di credenza nominava sei consoli semestrali che dovevano rimanere in carica a coppie per due mesi. In precedenza, il numero dei consoli era variato fra tre a cinque, con rappresentanza delle contrade interne di Gandino, di Peia e Cirano. Ai consoli spettavano, naturalmente, compiti numerosi e assai importanti. Come rappresentanti del comune presso le magistrature bergamasche e veneziane dovevano, per esempio, portare le denunce a Bergamo o al vicario di valle e accompagnare soldati e galeotti. A loro competevano i pignoramenti, le intimazioni di pagamento per i debitori del comune, la rilevazione dei danni arrecati a persone, cose e animali. Fino a dieci lire avevano libera facoltà di spesa, necessitando, per somme superiori, dell'autorizzazione dell'arengo o del consiglio di credenza. Dovevano provvedere che i notai compilassero i registri contabili, ed erano responsabili della loro custodia. Dovevano controllare settimanalmente fonti e mulini, e ordinare e seguire gli incanti di beni comunali. Al termine del mandato, il loro operato veniva vagliato dai sindacatori. La carica subì numerose modificazioni: la più importante quella sancita nell'arengo del giugno 1616, con la quale il numero di consoli venne dimezzato per permettere ad ogni bina di governare per quattro mesi con una contumacia di tre anni. Il massaro o canevaro aveva il compito principale di riscuotere i crediti del comune e più tardi le taglie e relativo versamento alla camera fiscale di Bergamo; i notai, nominati dal consiglio di credenza, partecipavano alle riunioni dei consigli, ne verbalizzavano delibere e votazioni, redigevano i registri contabili, fra cui quelli dei debitori del comune; i campari, con incarico di vigilanza sui beni comunali e sulle proprietà private, e di relative denunce ai consoli; i calcatori, eletti in numero di cinque dal consiglio di credenza, ispezionavano il territorio e controllavano il mantenimento e l'osservanza dei confini comunali; gli ufficiali della taverna comunale, eletti dal consiglio di credenza, erano i responsabili della taverna, avendo il comune il monopolio della vendita del vino: erano un notaio, un massaro o canevaro, un tavernaro, addetto direttamente alla vendita al minuto e all'approvvigionamento. Di notevole interesse è la descrizione di Gandino fatta alla fine del XVI secolo dal capitano di Bergamo Giovanni da Lezze (10). Gandino, capitale del distretto e sede Vicario di Valle, aveva nel 1596 una popolazione di 2245 abitanti, redditi per lire 3000 derivanti dall'affitto di sette mulini, sette folli e sei tintorie, azionati dalle acque del torrente Romna. Il grande patrimonio comunale era costituito inoltre da "alcuni monti de' quali non è destintione se siano comunali o proprii". La proprietà comunale veniva comunque tutelata da continue operazioni di vigilanza e ogni dieci anni venivano rivisti i confini di tutte le proprietà per evitare indebite appropriazioni. Boschi e pascoli erano tutelati da precise e severe norme statutarie. Accanto a questi beni sono da citare la proprietà di alcuni folli per la lavorazione della lana, in seguito venduti per far fronte alle crescenti difficoltà economiche comunali, il palazzo del podestà, due taverne, un'osteria, oltre ad altri prati da taglio e boschi di minore importanza (11). Dalla metà del '700 l'indotto dei lanifici in valle e nel territorio del comune registra una flessione notevole a causa dell'introduzione di produzioni manifatturiere estere (12). Alla fine Settecento Gandino contava 2800 abitanti. Gandino fu capoluogo del cantone omonimo nell'aprile 1797 (13), del distretto X di Gandino nel marzo 1798 (14) e del distretto XI della Concossola nel settembre successivo (15). Nel maggio 1801 fu posto nel distretto II di Clusone (16) per diventare nuovamente capoluogo del distretto V della Concossola nel giugno 1804 (17) e in seguito del cantone II omonimo del distretto III di Clusone (18). Nel 1805 contava 2931 abitanti. Nel 1809 ne contava 3219. Successivamente aggregò nel gennaio 1810 Barzizza, Cazzano, Peia e Leffe (19) Per ciò che attiene all'organizzazione amministrativa del comune in questo periodo occorre fare riferimento ai frequenti mutamenti legislativi avvenuti con la Repubblica Cisalpina (1797-1802), la Repubblica Italiana (1802-1805) e il Regno d'Italia (1805-1810). La prima riorganizzazione organica delle amministrazioni locali dopo la campagna d'Italia del generale Napoleone Bonaparte nell'aprile-maggio del 1796 venne definita nella costituzione della repubblica cisalpina (20). L'articolazione e le funzioni delle amministrazioni vennero ulteriormente definite dalla successiva legge sull'organizzazione delle municipalità (21). Nel titolo I della costituzione veniva stabilita la suddivisione del territorio della repubblica in dipartimenti, distretti e comunità. Gli organi dell'amministrazione locale venivano invece descritti nel titolo VII. La costituzione dell'anno V stabiliva una differenziazione delle amministrazioni municipali e dei rispettivi organi in base al numero degli abitanti. Gandino era comune con popolazione compresa tra tremila e centomila abitanti: aveva un'amministrazione municipale (art. 178), costituita da un diverso numero di "uffiziali municipali". La costituzione citata definiva le condizioni di eleggibilità dei membri della municipalità (art. 176), la durata della loro carica (art. 185), le limitazioni per la loro rielezione (artt. 186-187) o per la loro surroga (art.188). La struttura e le competenze dell'amministrazione comunale vennero ulteriormente definite, come si è accennato, nella legge di organizzazione delle municipalità (legge 29 messidoro anno V) (17 luglio 1797). Questa legge stabiliva la soppressione delle municipalità allora esistenti in tutte le città e borghi della repubblica (art. 1) e la loro sostituzione con una municipalità per ogni distretto il cui luogo di residenza sarebbe stato fissato dall'amministrazione dipartimentale (art. 2). Veniva stabilita la divisione del corpo municipale in due organi: il consiglio e l' "officio", definendo per ciascuno di essi compiti e funzioni (artt. 20- 25). Erano determinate inoltre le funzioni delle municipalità, distinguendo in "oggetti propri del potere municipale" (artt. 33-34), e competenze delegate dall'amministrazione dipartimentale (artt. 35-36). Veniva ribadito il rapporto gerarchico che intercorreva fra amministrazioni municipali e dipartimentali (artt. 37-40, 42- 43), richiamando peraltro l'obbligo della pubblicità dei conti delle municipalità, come previsto dalla costituzione. Venivano definiti anche i ruoli del personale, prevedendo in ciascuna municipalità la presenza di un segretario, nominato dal corpo municipale (art. 19), e di "quattro scrittori e un usciere" (art. 47). (22). La proclamazione della nuova costituzione della repubblica cisalpina (23), imposta al corpo legislativo dall'ambasciatore del direttorio della repubblica francese presso la cisalpina Trouvé, comportava la riforma dell'organizzazione delle amministrazioni locali. La costituzione ribadiva innanzitutto la diversa organizzazione dei comuni a seconda del numero di abitanti. I comuni con meno di diecimila abitanti, come Gandino, avevano invece "un officiale municipale ed uno o due o tre aggiunti" (art. 180). L'unione degli ufficiali municipali dei comuni del medesimo distretto formava "la municipalità del distretto" (art. 181), per ognuna delle quali viene scelto "un presidente della municipalità (art. 182). I membri delle amministrazioni municipali duravano in carica due anni ed erano "rinnovati ogni anno per metà o per la parte più approssimante alla metà ed alternativamente per la frazione più grande e per la frazione più piccola" (art. 186) e potevano essere rieletti solo per due mandati consecutivi (artt. 187-188). In caso di decadenza di un amministratore per "morte, dimissione, destituzione o altrimenti" il direttorio nominava nuovi amministratori, che rimanevano in carica sino alle successive elezioni (art. 198). L'impianto organizzativo e funzionale delle amministrazioni locali delineato nella costituzione dell'anno VI venne ulteriormente precisato e definito nella "legge sull'organizzazione e sulle funzioni de' corpi amministrativi" (24). La legge determinava la composizione delle amministrazioni municipali, che dovevano essere formate da un numero variabile di agenti municipali, coadiuvati da aggiunti, con funzioni di supplenza in caso di assenza degli agenti stessi. In essa veniva stabilito che "le comuni di diecimila fino a centomila abitanti" formavano "da sé sole altrettanti distretti" (artt. 24-28). Nella legge erano indicate le modalità e la frequenza delle convocazioni delle amministrazioni municipali. Veniva tra le altre cose stabilito che tutte le determinazioni prese dalle amministrazioni municipali dovessero essere "scritte sopra un registro particolare", nel quale i componenti dell'amministrazione presenti alle sedute dovevano apporre le proprie sottoscrizioni (art. 33). Venivano in seguito descritte le funzioni "proprie" della municipalità e le altre "loro delegate dall'amministrazione dipartimentale" (art. 35). Fra le funzioni proprie erano contemplate l'organizzazione della "polizia sopra il territorio" e della guardia nazionale, la manutenzione dei ponti e delle strade comunali, l'illuminazione delle strade, il "regolamento e il pagamento delle spese municipali", la nomina del ricevitore municipale e degli altri salariati, le fazioni militari, gli alloggi, le "vittovaglie" e la sanità (art. 36). Fra le funzioni delegate vi erano invece il "riparto e la percezione delle contribuzioni dirette", la "soprintendenza all'istruzione pubblica, agli stabilimenti ecclesiastici, ai travagli pubblici del rispettivo circondario, agli ospizi, ospedali e prigioni", "la circolazione e l'approvvisionamento delle sussistenze" e in generale tutti "gli oggetti" sui quali le amministrazioni dipartimentali richiamavano la loro attenzione (art. 37). La nuova organizzazione dei comuni, seguita alla proclamazione della repubblica italiana, venne definita dalla legge sull'organizzazione delle autorità amministrative (25). Il titolo I, riguardante l'organizzazione generale dello stato, stabiliva che in ogni comune vi era "una municipalità e un consiglio comunale", mentre il titolo VI "delle municipalità" e il titolo VII "de' consigli comunali" definivano la struttura dell'amministrazione comunale. La legge del 1802 introduceva un'organica suddivisione dei comuni in tre classi definite in base alla consistenza della popolazione residente. L'appartenenza alle varie classi determinava diverse modalità nella composizione delle municipalità e dei consigli comunali e criteri differenti di eleggibilità dei loro componenti (artt. 74, 77-86). Per quanto riguarda i consigli comunali la legge 24 luglio 1802 stabiliva che il consiglio comunale nei comuni di prima e seconda classe si componeva rispettivamente di quaranta o trenta cittadini (art. 112), metà dei quali "necessariamente de' possidenti" (art. 113). Il consiglio di un comune di terza classe era costituito invece da "tutti gli estimati e tutti i capi famiglia non possidenti, ma però descritti nel registro civico della stessa comune", che avessero compiuti trentacinque anni di età e avessero "uno stabilimento di agricoltura, di industria e di commercio nel di lei circondario" e vi pagassero "la tassa personale" (art. 120). Il consiglio comunale, organo deliberativo del comune, veniva convocato in via ordinaria due volte all'anno (in gennaio o febbraio e in settembre o ottobre) e "straordinariamente a qualunque invito del prefetto, del viceprefetto o del cancelliere distrettuale" (art. 128). Nella prima seduta il consiglio esaminava il rendiconto presentato dalla municipalità relativo all'esercizio finanziario precedente, mentre nella seconda concorreva alla formazione dei consigli distrettuali, nominava i componenti della municipalità, determinava le spese e l'ammontare delle imposte comunali per l'anno in corso (artt. 129-132). Il consiglio comunale eleggeva i componenti della municipalità in un numero variabile a seconda della classe (art. 77). Gli amministratori municipali nei comuni di terza classe due amministratori municipali erano eletti "fra i possidenti nella comune", uno tra i primi sei maggiori estimati, il terzo tra i non possidenti (artt. 80-81). Le municipalità esercitavano funzioni esecutive (artt. 87-91) e si convocano a seconda delle necessità e su domanda del cancelliere distrettuale, del prefetto o viceprefetto (art. 94), dal quale dipendevano "immediatamente" (art. 92). L'organigramma dei funzionari delle municipalità di prima e seconda classe era costituito da un segretario e da un numero variabile di impiegati in base ai bisogni (art. 97). Nei comuni di terza classe le funzioni del segretario erano svolte dal cancelliere distrettuale (art. 98), mentre un agente comunale, eletto dalla municipalità, la rappresentava "come procuratore degli affari della comune" (art. 99). L'agente comunale, alle dipendenze del comune dietro corresponsione di un emolumento, aveva la "diretta corrispondenza col cancelliere distrettuale", da cui riceveva le leggi e gli ordini per la pubblicazione (art. 103) e le intimazioni dirette al comune (art. 104). Inoltre vigilava su tutto ciò che aveva "rapporto all'entrata e alla spesa" (art. 105), disponeva "i mandati pei pagamenti liquidi" e li presentava agli amministratori per la firma (art. 106). Non poteva assentarsi dal suo ufficio senza l'assenso della municipalità (art. 102). Alle dipendenze di ogni comune di terza classe, dietro corresponsione di uno stipendio, vi era anche un cursore, che veniva nominato, confermato e rimosso dagli amministratori municipali (art. 110). Egli era "incaricato di eseguire gli ordini della municipalità, del cancelliere e dell'agente comunale" (art. 108), fungeva da tramite per la corrispondenza, pubblicava le leggi e i proclami, faceva rapporto alle autorità di tutto ciò che potesse "interessare la loro vigilanza a vantaggio dei cittadini e della comune" (art. 109). In ciascun comune, infine, operava anche il ricevitore comunale, a cui veniva demandata la riscossione di "tutte le contribuzioni imposte nel circondario del comune, tanto reali che personali, e di qualunque altra specie" sia che dovessero essere devolute al tesoro nazionale o alla cassa dipartimentale, sia a quella comunale, com'era specificato nell'art. 20 della legge sui ricevitori comunali e dipartimentali promulgata nel 1804 (26), in cui erano definite in modo sistematico le sue competenze. Il passaggio dalla repubblica italiana al regno d'Italia implicò una trasformazione degli ordinamenti locali. Il decreto 8 giugno 1805 (27) dopo aver delineato la divisione del territorio dello stato in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni, in ognuno dei quali vi era "un consiglio comunale ed una municipalità" (art. 19), confermava la distinzione dei comuni in tre classi, definendo comuni di prima classe quelli con popolazione superiore ai diecimila abitanti, comuni di seconda classe quelli che oltrepassavano "li tremila fino ai diecimila", comuni di terza classe quelli con popolazione inferiore a tremila abitanti (art. 18). Rispetto alla normativa precedente cambia la composizione del consiglio comunale nei comuni di terza classe che sarebbe stato composto da non più di quindici membri, fra i quali fino al numero di tre potevano essere non possidenti, ma con i requisiti di avere almeno trentacinque anni di età, di possedere uno stabilimento di agricoltura, industria o commercio nel loro comune, e di pagare la tassa personale (art. 20). I consigli comunali erano di nomina reale quelli di prima e seconda classe e prefettizia quelli di terza classe. Le riunioni si dovevano tenere sempre alla presenza del prefetto, del viceprefetto o di un loro delegato nei comuni di prima e seconda classe, mentre nei comuni di terza classe dovevano tenersi alla presenza del cancelliere distrettuale, che ne registrava le deliberazioni e le trasmetteva al prefetto o al viceprefetto, insieme a eventuali ricorsi (art. 21). Convocati sempre in luogo pubblico con almeno quindici giorni di preavviso dalle municipalità nei comuni di prima e seconda classe e dal cancelliere del censo in quelli di terza classe (art. 22), i consigli comunali si riunivano in via ordinaria due volte all'anno (in gennaio o febbraio e in settembre o ottobre) e in via straordinaria "a qualunque invito del prefetto e del viceprefetto" (art. 23). I consigli deliberavano collegialmente a scrutinio segreto (art. 27). Nella prima seduta esaminavano il rendiconto dell'esercizio finanziario precedente, mentre nella seconda nominavano o eleggevano i componenti della municipalità in scadenza, determinavano le spese e l'ammontare delle imposte comunali per l'anno successivo e nominavano i revisori dei conti per l'anno precedente (artt. 24-25). Le municipalità dei comuni di prima e seconda classe erano composte da un podestà e rispettivamente da sei o quattro savi, mentre quelle dei comuni di terza classe erano costituite da un sindaco e due anziani. Le municipalità esercitavano "tutte le ispezioni amministrative e rappresentative del loro comune" (art. 35), predisponevano il conto consuntivo dell'anno antecedente e il conto preventivo per l'anno successivo (art. 36), proponevano ai consigli comunali deliberazioni su materie di particolare interesse per la comunità ed "eseguivano le determinazioni degli stessi consigli approvate dai prefetti o vice-prefetti" (art. 37). Ciascuna municipalità aveva un segretario, quelle di prima e seconda classe avevano inoltre altri impiegati secondo i loro bisogni, mentre quelle di terza classe avevano normalmente un cursore (art. 38). Il podestà veniva nominato dal re da una terna di nomi proposti dal consiglio comunale (art. 46), durava in carica tre anni (art. 29). I savi, "proposti ed eletti dai consigli comunali a scrutinio segreto ed a maggiorità assoluta di voti fra i cento maggiori estimati ne' comuni di prima classe e fra i cinquanta in quelli della seconda" (art. 30), si mutavano parzialmente ogni anno, in modo che entro un triennio fossero interamente rinnovati (art. 33). Il sindaco, di nomina prefettizia (art. 47), durava in carica un anno (art. 31). Gli anziani, nominati fra i venticinque più ricchi o notabili del comune "ed eletti dal consiglio a pluralità assoluta di voti" (art. 32), si rinnovavano ogni anno (art. 33). Integrato da altri provvedimenti, relativi all'esecutorietà della nomina dei savi e alla delega loro attribuita di supplire alle funzioni del podestà (28), "alla rinnovazione e completazione dei consigli distrettuali e comunali" (29), al trasferimento al podestà e al sindaco delle funzioni attribuite alle municipalità dal decreto 8 giugno 1805 (30) e alla esclusione dalle votazioni di membri dei consigli comunali nei casi fossero discusse cause in cui erano interessate "persone di aderenza reciproca" (31). Durante il regno d'Italia vennero emanate disposizioni generali volte a promuovere l'aggregazione dei comuni minori ai maggiori, che vennero realizzate con provvedimenti particolari nei singoli dipartimenti. Con il decreto 14 luglio 1807 veniva stabilito che "la popolazione dei comuni di seconda e terza classe si approssimasse al maximum della classe rispettiva per mezzo dell'aggregazione dei vicini comuni", per formare "un comune solo e individuo". Anche il circondario dei comuni murati venne esteso, inglobando i comuni limitrofi con i quali dovevano formare un'unica municipalità. Con il decreto 18 settembre 1808 venne infine stabilito che i comuni aggregati, benché formassero "un solo ed individuo comune per tutti gli oggetti amministrativi, dovevano conservare le rispettive attività e passività separate". Il sistema amministrativo sopra delineato resse gli organismi comunali in epoca napoleonica, prima del ripristino degli istituti teresiani nel 1816 La sovrana patente 7 aprile 1815, atto costitutivo del Regno Lombardo-Veneto, stabiliva che l'organizzazione amministrativa dei comuni doveva conservare le forme vigenti, mantenendo la suddivisione in tre classi dell'ordinamento napoleonico. Con l'attivazione dei comuni della provincia di Bergamo, in base al compartimento territoriale del Regno Lombardo-veneto, il comune di Gandino venne collocato come comune capoluogo, con 3253 abitanti, nel distretto XV (32). Per una nuova regolamentazione degli enti locali bisognò attendere la notificazione 12 febbraio 1816 perfezionata e resa pienamente operativa dalle "istruzioni per l'attivazione del nuovo metodo d'amministrazione comunale colle attribuzioni delle rispettive autorità" contenute nella successiva notificazione 12 aprile 1816, in cui veniva fornito un quadro articolato dell'organizzazione e del funzionamento degli organi preposti all'amministrazione dei comuni. L'insieme di queste disposizioni si applicavano indistintamente a tutti i comuni del Regno Lombardo-Veneto (33). In base al regolamento del 1816 in Lombardia si avevano dunque il consiglio e la congregazione municipale nelle tredici città regie (Crema, Casalmaggiore, Monza, Varese, oltre ai nove capoluoghi di provincia), il convocato e la deputazione nella maggior parte dei comuni, e il consiglio e la deputazione solo in quelli elencati nella tabella annessa al regolamento stesso. Gandino secondo tali istruzioni era dotata di un consiglio comunale e di una deputazione. Il consiglio comunale era formato da trenta membri. Almeno due terzi dei componenti del consiglio dovevano essere possidenti scelti tra i primi cento estimati. I consiglieri, dopo la prima nomina fatta dai rispettivi governi, venivano sostituiti ogni triennio in quote uguali, secondo l'anzianità di nomina "sopra duple dei consigli da parte delle congregazioni provinciali". I consigli erano radunati di norma due volte l'anno e ogni qual volta ritenuto necessario: nella prima sessione (in gennaio o in febbraio) si esaminavano i conti dell'anno precedente e veniva approvato il bilancio consuntivo, nella seconda (in settembre o in ottobre) si approntavano i bilanci di previsione, si nominavano i revisori dei conti e si eleggevano i nuovi membri delle congregazioni municipali e delle deputazioni. Rigide norme regolavano convocazione e svolgimento delle sedute, cui partecipavano, con funzioni di controllo in rappresentanza del governo e senza diritto di voto, il regio delegato nelle città regie o capoluoghi di provincia, oppure il cancelliere del censo o un suo sostituto negli altri comuni. La deputazione comunale in quanto "autorità pubblica permanente" aveva il compito di dare esecuzione alle deliberazioni del consiglio, gestire l'amministrazione ordinaria del patrimonio del comune e vigilare per l'osservanza delle leggi e degli ordini del governo. La Deputazione aveva un ufficio proprio ed era assistita da un segretario (34). Dei deputati previsti per i comuni, colui che aveva riportato il maggior numero di voti tra i tre primi estimati era eletto primo deputato, gli altri erano scelti tra i possessori. Oltre alla partecipazione a quasi tutti gli atti ufficiali del comune ai deputati spettava il compito di liquidare i conti con l'esattore e con l'agente municipale prima dell'ingresso in un nuovo esercizio finanziario. Competeva inoltre predisporre "il conto preventivo delle entrate e spese per l'anno successivo da proporsi al consiglio o convocato". Gli ordini di pagamento dovevano essere sottoscritti da almeno due deputati unitamente al cancelliere. Per quanto riguarda il personale burocratico previsto per i comuni, in quelli aventi un consiglio la deputazione era assistita da un segretario ed eventualmente da altri impiegati, secondo il ruolo approvato dal governo. Nel comune vi era inoltre un cursore sottoposto all'agente per il disbrigo degli ordini di tutti i superiori. Altri "stipendiati" potevano essere nominati da consiglio o convocato, con approvazione del governo, mentre risultava obbligatoria l'elezione di due revisori dei conti di durata annuale. Il comune di Gandino in successive riforme della distrettuazione nel 1853 (35) venne inserito sempre come capoluogo nel distretto VI. A quella data era comune con consiglio comunale e con ufficio proprio con una popolazione di 3453 abitanti

Note: (1) Mazzi Angelo, "Corografia Bergomense nei secoli VIII, IX e X", Bergamo, Tipografia Pagnoncelli, 1880. (2) La cosiddetta "Carta di Aucunda", Bergamo, [830] agosto 1, Archivio Capitolare di Bergamo, n. 535 (B XVII) (3) Carta commutationis, Bergamo 909 gennaio-910 febbraio, Archivio Capitolare di Bergamo, n. 2305 (H XVII). (4) Mazzi Angelo, "Corografia", p. 46 (5) Unità n. 1, vedi inoltre Zonca Andrea, "Le origini del comune nel medioevo", in "Gandino e la sua Valle", Villa di Serio, Edizioni Villadiseriane, 1993. (6) Unità n. 2. (7) "Confini del territorio del comune di Bergamo 1392-1395", Trascrizione del codice Patetta n. 1387 della Biblioteca Apostolica Vaticana a cura di Vincenzo Marchetti, Bergamo, Provincia di Bergamo, 1996. (8) Tutte le tematiche istituzionali sono state approfondite nel saggio di Rota Silvia, "Le istituzioni comunali e di Valle nel quattrocento", in "Gandino e la sua Valle", Villa di Serio, Edizioni Villadiseriane, 1993. In particolare il 22 dicembre 1408 Pandolfo Malatesta, signore di Brescia, concesse ai comuni di Gandino e Leffe della Valle Seriana inferiore di parte ghibellina, una Serie di privilegi alcuni dei quali già ad essi riconosciuti dalla dominazione milanese (vedi unità 154-2). Dei privilegi precedenti non è stato possibile, asserisce Rota, reperire adeguata documentazione". Per ciò che attiene i privilegi di concessi da Frencesco Foscari il 18 giugno 1428, vedi unità 154-4. (9) Statuti di Gandino, 1445: "Statuta et ordinamenta comunis de Gandino" (1445), Bergamo, Biblioteca A. Mai, segnatura Sala I D . 7. Vedi anche Cortesi Mariarosa, "Statuti rurali e statuti di Valle. La provincia di Bergamo nei secoli XIII-XVIII", Bergamo, Provincia di Bergamo, 1983Notizie generali sul profilo istituzionale sono tratte da: Civita, Bergamo, Le istituzioni storiche del territorio lombardo. XIV - XIX secolo. Bergamo, Progetto CIVITA, Regione Lombardia, Milano, 1999, repertoriazione a cura di Fabio Luini (Archimedia s.c.). Ora sul portale web a cura della Regione Lombardia "Lombardia storica" www.lombardiastorica.it. Sul periodo quattrocentesco vedi Pietro Gelmi, Battista Suardi, "Storia di Gandino e della sua valle. Il Quattrocento." Tomo II, Gandino, Amministrazione Comunale di Gandino, 1996. Sugli aspetti economici relativi al XV secolo Albini Giuliana, "Popolazione e vista economica nel quattrocento", in "Gandino e la sua Valle", Villa di Serio, Edizioni Villadiseriane, 1993. (10) Giovanni da Lezze, "Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596", a cura di Vincenzo Marchetti e Lelio Pagani, Bergamo, Provincia di Bergamo, 1988. (11) Un utile approfondimento è tracciato in Zaccarelli Annalisa, "I beni del comune in età Veneta", in "Gandino e la sua Valle", Villa di Serio, Edizioni Villadiseriane, 1993. Le problematiche relative alla gestione della taverna e la baccaria sono descritte da Beretta Silvia in "La gestione delle taverne comunali" e "La beccaria del comune", in "Gandino e la sua Valle", Villa di Serio, Edizioni Villadiseriane, 1993 (12) "Relazione dei rettori veneti in terraferma. Podestaria e Capitanato di Bergamo", Milano, Giuffrè , 1978, relazione di Giovanni Battista Albrizzi II. (13) Distrettuazione della Repubblica Bergamasca ,17 aprile 1797: il cantone comprendeva i seguenti comuni: Gandino, Casnigo, Cazzano, Barzizza, Bondo, Cene, Gazzaniga, Leffe, Peia, Vall'Alta, Vertova, Orezzo. Con il decreto relativo alla Distrettuazione della Repubblica Bergamasca ,17 aprile 1797 il Cantone comprendeva Gandino, Casnigo, Cazzano, Barzizza, Bondo, Cene, Gazzaniga, Leffe, Peia, Vall'Alta, Vertova, Orezzo. (14) Legge 11 ventoso anno VI a, 1798 marzo 1. Il distretto comprendeva i seguenti comuni: Gandino, Barzizza con Cazzano, Casnigo, Cene, Gazzaniga e Fiorano, Leffe, Peia, Orezzo con Bondo di Barbata e Ganda, Vertova. Con la successiva legge per l'organizzazione del Dipartimento del Serio non si ebbero variazioni (6 marzo 1798, Consiglio dé Seniori della Repubblica Cisalpina, Raccolti delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano nell'anno VII repubblicano, V, Milano, 1798). (15) Legge con cui si prescrive in quattro separati allegati la divisione dei dipartimenti dell'Olona, dell'Alto Po, Serio e Mincio in distretti ed in circondari (26 settembre 1798 (5 vendemmiale anno VII)), Raccolti delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano nell'anno VII repubblicano, VI, Milano, 1798. Il distretto comprendeva Gandino, Barzizza con Cazzano, Casnigo, Cene, Gazzaniga e Fiorano, Leffe, Peia, Orezzo con Bondo di Barbata e Ganda, Vertova e Colzate. (16) Legge sulla divisione in dipartimenti, distretti e comuni del territorio della Repubblica Cisalpina (13 maggio 1801 (23 fiorile anno IX)), Raccolti delle leggi, proclami, ordini ed avvisi pubblicati in Milano, II, Milano, s.d. (1801) pp. 148-173. L'ampiezza di tale distretto era tale da comprendere Clusone, Castione, Cerete alto con Cerete basso, Fino con Onore, Gorno e Oneta, Villa d'Ogna, Piario e Ogna, Parre, Ponte di Nossa e Premolo, Rovetta, Songavazzo, Valzurio con Nasolino, Gromo, Ardesio, Bani con Valcanale ed Aquilina, Valgoglio, Gandellino, Dieci Denari, Fiumenero, Lizzola, Vilminore, Azzone, Sant'Andrea e Dezzolo con Dezzo, Bueggio con Nona e Pezzolo, Colere e Teveno, Vilmaggiore con Barzesto e Pradella, Lovere, Bossico con Ceratello, Endine, Monasterolo con Figadelli, Pianico Castro e Sellere, Ranzanico con Bianzano e Spinone, Riva di Solto con Zorzino ed Esmate, Rova con Fonteno, Solto, Sovere, Terre della Costa di Lovere, Volpino, Tavernola, Piano e Gaverina, Vigolo, Gandino, Barzizza con Cazzano, Casnigo, Cene, Gazzaniga e Fiorano, Leffe, Peia, Orezzo con Bondo di Barbata e Ganda, Vertova e Colzate, Sarnico, Adrara San Martino, Adrara San Rocco, Credaro, Calepio, Foresto, Gandosso, Predore, Tagliuno, Tavernola, Viadanica, Villongo Sant'Alessandro, Villongo San Filastro, Grumello del Monte, Telgate, Palosco. (17) Piano interinale di distrettuazione di questo Dipartimento approvato dal Vice-Presidente della Repubblica (27 giugno 1804), Ministero dell'interno della Repubblica Italiana. Il Distretto era formato dai seguenti comuni: Barzizza, Casnigo, Cazzano, Cene di sotto e di sopra, Colzate, Fiorano, Gandino, Gazzaniga, Leffe, Orezzo, Peia, Vertova. (18) Decreto sull'Amministrazione pubblica e sul Comparto territoriale del Regno (8 giugno 1805), Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, Milano, 1805, I, pp. 141-304. Il distretto Comprendeva i seguenti comuni: Barzizza, Casnigo, Cazzano, Cene di sotto e di sopra, Colzate, Fiorano, Gandino, Gazzaniga, Leffe, Orezzo, Peia, Vertova. (19) Prospetto per la concentrazione dé comuni del Dipartimento del Serio approvato con Decreto 31 marzo 1809 di Sua Altezza Imperiale il Principe Vice-Re. In conseguenza delle modifiche apportate alla distrettuazione dei dipartimenti in seguito alle concentrazioni dei comuni del 1809 il cantone risultò composto dai seguenti comuni: Gandino, Casnigo, Gazzaniga, Vertova. (20) Costituzione della Repubblica Cisalpina. Anno V della Repubblica Francese, 20 messidoro anno V (8 luglio 1787). (21) Avviso 1 termidoro anno V, 19 luglio 1797. (22) Coraccini F., Storia dell'amministrazione del Regno d'Italia durante il dominio francese, Lugano, 1823. Meriggi Marco, Una regione di comuni. Le istituzioni locali lombarde dall'età napoleonica all'unificazione nazionale, in Amministrazione e archivi comunali nel sec. XIX". Atti del seminario, Milano, 1994. Roberti M, Milano capitale napoleonica. La formazione di uno stato moderno 1796-1814, II, Milano, 1947. Rotelli E., Gli ordinamenti locali nella Lombardia preunitaria, in "Archivio Storico Lombardo", C, 1974, p. 171-234. Zaghi C., L'Italia di Napoleone dalla Cisalpina al Regno, Torino, Utet, 1989. Tratto da www.lombardiastorica.it (23) Costituzione 15 fruttidoro anno VI, 1 settembre 1798. (24) Legge 15 fruttidoro anno VI, 1 settembre 1798. (25) Legge 24 luglio 1802. (26) Legge 22 marzo 1804. (27) Decreto 8 giugno 1805 a. (28) Decreto 22 aprile 1806. (29) Decreto 4 dicembre 1806 a. (30) Decreto 5 giugno 1807. (31) Decreto 8 luglio 1810 b. (32) Notificazione 12 febbraio 1816. Il Distretto XV comprendeva i comuni di Barzizza, Casnigo, Cazzano, Cene, Colzate, Fiorano, Gandino, Gazzaniga, Leffe, Orezzo, Peia, Vertova. Gli organi di Governo erano siti nella capitale, nel capoluogo di provincia era una Delegazione Provinciale, nel capoluogo del distretto era posto un cancelliere del Censo poi Commissario Distrettuale. Il territorio è diviso in province e distretti. (33) L'organo deliberativo di rappresentanza nelle città regie, nei capoluoghi di provincia e nei comuni maggiori, elencati in numero di quarantaquattro per tutto il regno nella tabella annessa alla notificazione 12 aprile 1816, era il consiglio. In tutti gli altri comuni, non inclusi nella tabella, era previsto il convocato degli estimati. L'organo collegiale incaricato dell'amministrazione del patrimonio nelle città regie e nei capoluoghi di provincia era costituito dalla congregazione municipale con a capo un podestà, mentre nei rimanenti comuni era costituito da una deputazione comunale. Con la circolare 19 marzo 1821 fu notificata l'attivazione, stabilita dal vicerè con decreto 5 marzo 1821, dei consigli comunali in luogo del convocato per tutti i comuni in cui fossero presenti più di trecento estimati. La circolare del 1821 forniva l'elenco dei comuni del regno ai quali era stato accordato il consiglio comunale. Un'ulteriore estensione dei comuni con consiglio si ebbe in seguito all'applicazione della circolare 8 maggio 1835 che, nell'intento di favorire la concentrazione dei comuni unendo i minori ai maggiori, stabiliva la possibilità di sostituire il consiglio al convocato "anche laddove il numero degli estimati fosse al di sotto di trecento", sia pure in presenza di circostanze che facessero "considerare necessario un tale mutamento". (34) La circolare 19 marzo 1821 modificò parzialmente tale situazione in quanto, avendo abilitata l'istituzione del consiglio in un maggior numero di comuni, diede facoltà ai governi di Milano e Venezia di stabilire quali comuni potessero essere dotati di un ufficio proprio in base anche alla disponibilità di mezzi e locali. (35) Notificazione 23 giugno 1853. Nel 1853 costituivano il distretto VI di Gandino della provincia di Bergamo i comuni di Barzizza, Casnigo, Cazzano, Cene, Colzate, Fiorano, Gandino, Gazzaniga, Leffe, Orezzo, Peia, Vertova con una popolazione complessiva di abitanti 13.849.


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